Dal giorno del suo insediamento Janet Yellen, presidente della Federal Reserve, per la prima volta non ha infiammato i mercati finanziari, in cerca di rassicurazioni sulla crescita o sul mantenimento degli stimoli, in entrambi i casi combustibile atto ad alimentare il trend di crescita delle azioni.
Tuttavia, le avvisaglie di un cambiamento imminente appaiono evidenti. In primo luogo, il falco repubblicano Fisher, presidente della Fed di Dallas, ha prospettato un primo rialzo dei tassi americani già nel primo trimestre del 2015 ed ha evidenziato perplessità sulle valutazioni azionarie, care a suo dire.
Quest’ultimo giudizio sembra essere avvalorato da una parte dalla decrescente corsa agli acquisti in borsa dell’ultimo periodo e dalla scarsa operatività in acquisto da parte di “cassettisti” e investitori di lungo termine come Buffett e Icahn e smentito, invece, dal buon inizio della cosidetta "earning season" che sembra garantire bilanci migliori delle attese e prospettive confermate per gli ultimi trimestri dell'anno.
Come rispondere allo scetticismo dei big della finanza e alle posizioni contrarie dei falchi? Le colombe hanno prontamente reagito prendendo tempo e prefigurando per l’economia statunitense una fase ancora di debolezza con disoccupazione ancora precaria e un Pil in crescita nel 2014 ad un passo decisamente inferiore rispetto alle stime indicate a fine 2013, che consetirà alla Fed di poter alzare il piede dall'acceleratore monetario senza fretta.
Quale posizione prevarrà? A deciderlo saranno i dati sui posti di lavoro creati nei prossimi mesi e soprattutto l’andamento dell’inflazione: basterebbe anche un solo mese di marginale rallentamento di quest'ultima per consentire alla Yellen ed alle colombe di allontanare lo spettro di un pronto aumento dei tassi. Rimane, comunque, necessario per entrambi gli antagonisti della Fed assistere ad una normalizzazione sia della crescita che dei prezzi per evitare di dover poi agire a strappi e accrescere la frattura che ormai separa falchi e colombe.
In tale contesto i mercati prendono fiato: le questioni geopolitiche (Israele-Palestina e Russia-Ucraina) e la lenta ripresa economica in Europa alimentano le prese di beneficio, che non sembrano poter minare, però, il trend positivo degli indici azionari.
Indipendentemente dagli elementi esogeni, le "bolle finanziarie" sono una minaccia non trascurabile di fronte all’instabilità economica ed all’incertezza monetaria, ma gli operatori sembrano aver scoperto la ricetta giusta per consentire al mercato solo brevi pause e poco altro: la "rotazione settoriale" che ha interessato, in salita e in discesa, prima i segmenti solidi come pharma e utilities, poi il tech e il biotech per poi ritornare su ambiti legati alla salda e certa “old economy”.
Da qui a fine anno, quindi, ci attenderanno pause e leggere accelerazioni che porteranno l’S&P americano poco sopra i 2000 punti (con un rialzo di 5% circa dagli attuali valori) prima che l’innalzamento dei tassi, in un mese "imprecisato"del 2015, darà l’occasione a molti di vendere azioni e sancire la prima vera correzione in quello che da molti è stato definito come un “bull market” di lungo periodo.
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