Nel 2007 il Brasile veniva scelto come Paese organizzatore e sembrava il giusto riconoscimento ad una nuova potenza economica internazionale, non più relegata al solo Sud America: tassi di crescita esponenziali e benessere quasi diffuso, una sorta di nuovo Eldorado.
Purtroppo da allora quasi tutto è cambiato: il motore economico da oltre un anno e mezzo sembra essersi inceppato e la “mala gestio” dell’evento ha contribuito a spezzare in breve tempo il sogno di una popolazione intera, innamorata del calcio ed oggi profondamente delusa.
La protesta iniziata un anno fa – dopo l’innalzamento dei costi dei trasporti a dispetto di una viabilità in peggioramento e con infrastrutture scadenti – continua ancora oggi ed i brasiliani gridano la loro rabbia contro i costi record (11 miliardi e mezzo di dollari) di un evento che avrebbe dovuto migliorare le condizioni di vita della popolazione e che, invece, ha comportato lavori e miglioramenti esclusivamente per gli stadi – terminati all’ultimo e con rischi rilevanti – e per il relativo perimetro sportivo.
La corruzione dilagante, la burocrazia asfissiante che ha fatto scappare gran parte degli investitori internazionali, l’inflazione ai massimi, il fisco che necessita di una ristrutturazione urgente e l’assenza di investimenti in ambito scolastico e sanitario hanno sancito il fallimento di un progetto economico e sociale molto ambizioso.
Le proteste hanno riunito in primo luogo i giovani, ma continuano a coinvolgere anche persone delle più diverse estrazioni sociali - dalla classe media a quella bassa - unite nel chiedere un cambio di rotta per il Paese ed i suoi abitanti.
Il “rumore” di un popolo, silenziosamente sofferente, dovrebbe servire ad enfatizzare ed a pubblicizzare al mondo esterno il disagio di una Nazione intera, ma soprattutto mettere pressione al Governo, in modo da accelerare un piano dettagliato di riforme ormai obbligatorie.
Il rischio è che il Mondiale non abbia successo in termini di ritorno economico – nonostante il mare e le altre attrazioni, il Brasile è una metà meno turistica di quanto possa sembrare - e che i disagi e le proteste quotidiane diventino il marchio di un’attrazione ormai povera di appeal. Il Paese ha l’assoluta necessità di affiancare servizi adeguati alle bellezze che la natura gli ha dato e questo processo non può essere più procrastinato nel tempo.
Tuttavia, la competizione sportiva è ormai agli inizi e le proteste, con tutta probabilità, si attenueranno o rimarranno localizzate vicine agli stadi, con un ridotto risalto mediatico: le partite si giocheranno e i brasiliani accoglieranno come di consueto col sorriso la carovana calcistica, come si attende il Carnevale una volta l’anno.
Sarà una grande festa, un grande evento, magari vincerà il Brasile, ma a perdere saranno i brasiliani, quelli che da fine luglio torneranno nel dimenticatoio e che saranno costretti a dover digerire rifiuti e promesse non mantenute, come tristemente accadde nel 2004 in Grecia nel post-olimpiadi: sappiamo tutti poi come è andata a finire.
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