I bimbi sono soliti sorridere di fronte ai fotografi o fingere di nascondersi per gioco, ma quelle braccia alzate sono la resa di fronte ad un’arma che è reale nella sua mente più che nella sua quotidiana e tangibile fuga dalla guerra.
E’ un grido di allarme, è l’amaro specchio di un’infanzia spezzata che espande il proprio riflesso fino all’estremo.
Non è importante rintracciare tra vent’anni – come già accaduto in passato con altri soggetti fotografati in situazioni similari – l’evoluzione genetica di quei pugni stretti, ma interrogarsi su quei due scuri diamanti tristi, privi di speranza.
Allontanare la paura dagli occhi dei bimbi dovrebbe essere un obbligo, non un’opzione.
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